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5 dic 2019

Nebbie

Racconto

Marco pare sbucare dal fitto della nebbia che in questa zona depressa   è densa, spessa e percorre la strada che corre parallela al grande fiume distante parecchi chilometri ma non si fa scordare.  S’incammina di buon passo sulla strada che lo porterà alla fabbrica ed anche se è in ritardo rallenta perché spera d’incontrare Marisa. Anche lei lavora nella sua stessa fabbrica e quando non l’accompagna il padre, sul cannone della bicicletta, percorrono insieme un tratto di strada. L’incontrerà oggi?
Da tempo è innamorato di Marisa ma lei non ne vuole sapere… dice che suo padre l’ammazzerebbe di botte se sapesse che si vede con lui.  Perché lui, Marco, è figlio di uno che ha avuto guai con la giustizia per un piccolo furto compiuto in età giovanile.  Il debito è stato pagato con una breve pena ma il paese è stato ben più severo e l’ha condannato ad una pena che non finirà mai di scontare.
Marco vorrebbe andare via ma quello è il suo paese…  lui l’ama ma l’odia per le miserie e i pregiudizi.
E così Marco guarda la sua Marisa di lontano   e sogna.  La guarda al lavoro, quando stende i panni e quando va a prendere l’acqua al pozzo appena fuori il piccolo paese.
Il pozzo è situato in un campo di sterpaglie ed è lì che, in autunno, si accampano rare e brevi carovane di zingari che, per pochi soldi, offrono un po’ di divertimento e rappresentano la novità nella piatta vita di paese. 
Quando arrivano, le famiglie tengono d’occhio i figli, le figlie   ed anche la biancheria stesa. Gli zingari non sono forse tutti ladri?

La carovana che staziona in quei giorni nel campo di sterpaglie è piccola e la famiglia che l’abita è gente perbene. In paese li conoscono da anni e mai hanno dovuto lamentarsi per la loro condotta. Il piccolo circo propone numeri poveri ma decorosi ed il loro pezzo forte è rappresentato dal clown Svirgolone che, coi vestiti rattoppati ed il naso rosso, fa divertire grandi e piccini.
Quest’anno, il ragazzo zingaro che l’anno passato eseguiva un numero con un cagnolino ammaestrato, s’è fatto   grande ed ora si esibisce camminando su un filo alto, la lunga pertica che ondeggia e fa rimanere col fiato sospeso gli spettatori. Si chiama Giosuè, è biondo come il grano d’estate e muscoloso come un uomo.
Quel giorno, al termine del suo numero, s’inchina e fa correre lo sguardo in modo circolare, come al solito, ma gli occhi neri di Marisa lo inchiodano e lì si ferma, affascinato da quel   bagliore scuro che   contrasta piacevolmente con la    pelle   bianca come il latte. La guarda stupito e rimane inchiodato lì, al centro del tendone. 
Lo ridesta un rullo di tamburo e lui, con un sorriso, saluta e con un saltello scompare fra le tende che lo inghiottono.
Anche Marisa è rimasta affascinata da Giosuè e alzandosi dalla panca del circo, sente le gambe molli ed il cuore che batte più in fretta.    Giosuè l’ha guardata come nessuno l’ha guardata mai e si sente vittima di un incantesimo… gli zingari non sono forse padroni delle arti magiche?

Pochi giorni dopo il piccolo circo sta per chiudere i battenti e si prepara ad incontrare altra gente, in un’altra piazza.
L’ultima sera le luci si spengono definitivamente sull’ultimo applauso e la gente torna a casa un po’ dispiaciuta ed un po’ sollevata: anche quell’anno è andata bene con gli zingari e non è successo niente di spiacevole.  Tutti tornano a casa allungando il passo, perché incalzati dalla nebbia che quella sera è più fitta del solito e pare entrare nelle ossa.
Mentre cammina, Marisa riflette.    Sarà amore quello che sente?  Non lo sa. Sente solo uno sfarfallio allo stomaco e la testa leggera. Le pare   di sentire un profumo nell’aria e pensa con allegria d’essere vittima di una magia a cui dà subito un nome: Giosuè.

Il mattino dopo, un solito giorno lattiginoso e compatto, si scopre che Marisa nel suo letto non c’è.  Le coperte dicono che la ragazza non vi ha dormito e nessuno sa spiegarsi cosa sia potuto accadere.  Nessuno sa ed ha sentito nulla ma quel giorno gli uomini non vanno al lavoro e si mettono a chiamare ed a cercare la figliola scomparsa.  Le grida sono ovattate, non bucano la nebbia che   pare abbia ingoiato Marisa.
Anche Marco, come impazzito, partecipa alla ricerca   ed anche Delmo la cerca e la chiama disperatamente.   È fra quelli che non hanno riposo e la sera non va neppure a dormire, quasi non potesse avere pace se non sapendola tornata a casa.  Anche lui, lo sanno tutti, è innamorato della ragazza e questa sua smania di trovarla è   comprensibile.
Marisa è il primo amore per Delmo, ragazzo semplice con un piccolo ritardo mentale e nessuna istruzione scolastica.  E’ innamorato ed è speranzoso perché lei è diversa da tutti e quando passa per andare o tornare dal lavoro, non finge di non vederlo e lo saluta sempre con tanto garbo.

La ragazza ancora non torna, non si trova e gli uomini, già pieni di sospetto, vanno al campo per chiedere agli zingari. Ma la carovana non c’è più e del loro passaggio è rimasta solo la zona chiara, ripulita dagli sterpi.  Sono scappati!  Lo pensano già tutti mentre Delmo, che s’è affacciato al pozzo, richiama con alte grida: Marisa è lì e bisogna toglierla subito perché può prendere freddo.
Il gelo, invece, non può più danneggiarla.

Tutti si muovono alla svelta, il biroccio   è subito pronto e gli uomini partono all’inseguimento.
Trovano la carovana di zingari lungo l’unica via che si snoda   collegando   paese a paese.  Una strada stretta, con ai lati   fossi profondi che   a primavera profumano di viole.
Va spavaldamente adagio quella colorata carovana, perché tanto sono sicuri di farla franca, pensano gli inseguitori.
 Il cuore degli uomini del paese si gonfia sempre   più di furore e, raggiunto il convoglio, lo fermano in malo modo     e strattonano, interrogano e picchiano.
Gli zingani non sanno di Marisa ma gli uomini della nebbia non lo credono. Hanno visto tutti come il biondo guardava Marisa e lo scaraventano giù dal letto decisi a fargli sputare la verità.  Lui nega, nega, giura e nega… ma nessuno gli crede.
Se esiste un attimo in cui la follia è in grado di ammorbare tutti   all’istante, quell’attimo   è arrivato e le menti ottenebrate fanno qualcosa che chiamano giustizia e Giosuè non s’avventurerà mia più sul filo teso alto sulla testa degli spettatori.
Poi fanno ritorno al paese lasciando sulla via deserta fantasmi di donne e uomini straziati di dolore, un dolore alto fino al cielo.
Tornano alle loro case, ai loro mestieri, ai loro affetti, con il dispiacere della Marisa morta ma convinti di avere fatto ciò che andava fatto.

Marisa è sepolta nel piccolo cimitero del paese e Delmo passa lì le sue giornate.  Pare contento perché ora Marisa è tutta sua e dalla foto ovale gli sorride ancora più di prima.
Quando ha fame torna a casa e non ricorda più di quel mattino quando sua madre l’ha svegliato e, con la collanina d’oro di Marisa fra le mani, gli ha fatto giurare che non l’avrebbe fatto mai più, mai più, perché quella era una cosa molto cattiva.





11 commenti:

  1. Straziante e bellissimo,amore e morte.
    Complimenti.Ciao.fulvio

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    1. Grazie Fulvio, questa è, purtroppo, una vecchia storia vera.
      Ciao.

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  2. Da scrittore di racconti, complimenti: una storia tragica e struggente che ha il merito, tra le altre cose, di mettere alla berlina uno dei tanti luoghi comuni (falsi) che albergano nelle nostre menti.
    Bello davvero.
    Ciao :-)

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    1. Uno scrittore vero!
      Questa storia mi ha molto commossa, sia per i fatti sia per la mentalità contagiosa che si respira in certi piccoli paesi.
      Grazie!
      Ciao.

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  3. Davvero complimenti, un racconto che ti tiene incollato fino alla fine...pochi ma essenziali personaggi, ben caratterizzati, un'ambientazione suggestiva, un colpo di scena finale... splendido, davvero sinceri complimenti!

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    1. Un delizioso commento che abbraccia tutto il racconto... tante grazie.
      Come dicevo più sopra, il fatto è accaduto realmente, quel che non sapevo l'ho aggiunto e anche i nomi sono di fantasia.
      Ciao Silvia.

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  4. Bravissima da brividi questo tuo racconto: "Gli uomini della nebbia" un'espressione che ho trovato di grande impatto emotivo, brillante.

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    1. Ho accostato spesso la nebbia reale a quella della mente... pensi di vedere, di ragionare e invece non lo fai, non lo puoi fare.
      Grazie Daniele.

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  5. Molto brava !! Mi sono commossa !!!Ciao

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- Grazie per il tuo commento che sarà sicuramente rispettoso.