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16 ott 2014

Ricordi



Eravamo tutti attorno al tavolo e cenavamo, composti come sempre. Il babbo era a capotavola, la mamma nel posto più comodo per raggiungere i fornelli ed i miei fratelli ed io, a riempire le sedie attorno al tavolo.
Solitamente mangiavamo scambiandoci poche parole perché era proibito parlare con la bocca piena, ma ogni tanto, fra un boccone e l’altro, qualche parolina correva.
Quella sera io dissi al babbo che a scuola avevo conosciuto un paese nuovo, tanto lontano da non immaginare neppure quanti giorni occorressero per raggiungerlo, convinta, pur senza dirglielo, che fosse nuovo anche per lui. Lui disse invece di conoscerlo e, con voce sicura, nominò i paesi che si sarebbero dovuti attraversare per raggiungerlo. Io lo corressi dicendo che uno dei paesi che aveva nominati non era in quella direzione ma lui non cambiò opinione. Ci accalorammo entrambi, lui sicuro di conoscere tanto più di me, io resa forte della lezione di geografia appena imparata.
Guardando il babbo, capii di non dover insistere perché sulla fronte magra, la vena centrale si era resa evidente, come sempre gli succedeva quando era teso. Quello, avrebbe dovuto essere un segnale per me ma non mi fermai. Stavo per alzarmi e andare a prendere l’atlante, che mi avrebbe confortato, quando lui mi ordinò di stare seduta e di non parlare più.
Io risedetti, zitta, ma gli lanciai uno sguardo colmo di sfida. E lui… lui mi guardò in modo strano  ma niente affatto arrabbiato, come temevo, no. Aveva viste in quel momento le  piccole ali che mi avrebbero portato chissà dove e ne era rimasto meravigliato,  forse anche un po' spaventato.


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2 commenti:

  1. Non so se questo post avesse questo fine, ma mi ha commosso.
    Le sedute di famiglia intorno al desco mi fanno sempre questo effetto, forse perché ormai sono talmente rare da essere ritenute antiche.
    "Scontro" in famiglia sulla geografia: altra rarità.
    Oggi si conoscono Paesi lontani millanta miglia; si sa cosa mangiano, come vivono, più o meno cosa pensano i loro abitanti; si presume che concepiscano e partoriscano come noi, ma su questo c'è ancora un pizzico di dubbio... e non sappiamo nulla del nostro Paese.
    Lo stiamo scoprendo a suon di delitti efferati, di catastrofi più o meno naturali, di incidenti strani (tipo i due bambini "caduti" dall'alto del palazzo: prima chi sapeva dell'esistenza di un paese chiamato Caivano..., dove solo una "va" salva da ricordi biblici, altrettanto truci)...
    Il post non lo dice, ma credo che lo "scontro" fosse riferito a qualche paesino semisconosciuto, sfuggito a tuo padre e fresco di studio per te. L'invito a tacere e tornare seduta, secondo me era un'ammissione implicita di dimenticanza da parte sua, non ammettibile di fronte al resto della famiglia, per quell'orgoglio patriarcale che non doveva essere intaccato da una sbarbatella troppo studiosa.
    Ciao, buona serata.

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    1. La mia famiglia, qui descritta attorno al tavolo, era una come tante all'epoca del fatto raccontato. Il babbo aveva viaggiato per lavoro, si sentiva sicuro di sè e doveva (sì, doveva) essere in grado di fare fronte a una bimbetta di dieci anni come me, a quell'epoca.
      Non ricordo di quale piccola nazione si stesse discutendo ma mi pareva lontanissima e forse oggi non la considererei più tale.
      Per mio padre si è trattato di orgoglio patriarcale, come dici, ma lui non lo sapeva, abituato com'era a sapere sempre più di tutti noi.
      Non intendevo commuovere con questo piccolo ricordo ma mi fa piacere che ti abbia prodotto questo effetto. A me è rimasto sempre in mente non per il fatto in sè ma per lo sguardo stupito del babbo e la potenza che in tal modo mi attribuiva.
      Buona serata a te, Gattonero. Grazie.

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- Grazie per il tuo commento che sarà sicuramente rispettoso.