Torno sull'argomento integrazione iniziato tempo fa.
QUI è cominciato con un piccolo gioco e QUI ho proseguito parlando del difficile verbo integrare. QUI invece ho parlato della metafora della torta e adesso ve la racconto.
Nel mio quartiere c'è una scuola dove, da tempo e nel silenzio che sempre caratterizza quella che è considerata normalità, si fa vera integrazione. L'ho vista e toccata con mano, questo miracolo di "torta", perchè vi ero stata invitata per svolgere una piccola attività manuale.
Si avvicinavano le feste natalizie e l'aula che mi ha accolta aveva le pareti occupate da disegni e decori molto diversi fra loro. Seguendo il mio sguardo curioso, un'insegnante mi spiegò che in classe c'erano bambini di quattro religioni differenti e ogni parete era stata allestita dalle mamme che vi avevano fissato i segni della propria appartenenza religiosa. "Dovesse arrivare un bambino di altro credo" mi disse sorridendo "dovremmo pensare a decorare il soffitto".
La data per la comune festa scolastica natalizia, con le famiglie, era stata concordata fra tutti e in quell'occasione ognuna avrebbe condiviso con le altre il cibo festivo della loro patria.
Ogni anno, la festa riscuoteva, com'è ovvio, un gran successo.
Lungo il corridoio, altri segni denotavano come ogni bambino, entrando negli ambienti scolastici, potesse ritrovarsi neii colori, nelle terre, nei disegni del paese di origine. Questo per permettere ad ogni bambino di pensare che nella scuola c'era un posto per lui, per quel che era e in cui credeva... un posto dove erano naturali lo scambio e la comunicazione. Riassunto in una parola: il RISPETTO.
Che torta!!!
Straniero, diverso, non è solo chi arriva da un paese lontano ma anche chi non è acculturato, chi è povero, ignorante, malato. E straniero siamo noi quando percorriamo strade/ambienti diversi da quelli che siamo soliti frequentare.
Sarebbe bello, e anche conveniente, che ogni persona potesse dire ovunque: qui c'è posto anche per me.
........ continua ........
...continua...
RispondiEliminadove?
Anche io a volte mi sento straniero di me stesso
Questo post è il seguito dei precedenti di cui ho messo i link. E non finisce qui. ;)
EliminaSei in buona compagnia, sentendoti straniero a te stesso. Credo che la prima diversità ad infastidirci sia proprio la nostra, cioè di quell'idea che abbiamo di noi stessi e che spesso non ci corrisponde.
Ciao!
Ciao Sari, sempre interessante leggere quello che fai.
RispondiEliminaSono lieta di ritrovarti Loretta, spero ti venga l'estro di raccontare ancora del tuo grande giardino. Chissà che lotta con le lumache, con tutta la pioggia che è venuta.
EliminaCiao. :)
Giustissime considerazioni, si può essere stranieri anche nella propria patria.
RispondiEliminaOggi il termine "straniero" fa rima con "ostile" e questo crea tanto disordine.
EliminaCiao.
Bellissimo post, come sempre, cara Sari.
RispondiEliminaChi nella propria vita, non si è sentito straniero, almeno una volta, anche nella propria patria?
Basti pensare ai nostri giovani meridionali.
A mio padre.
E mi viene in mente, chissà perché, Sergio Endrigo, alla sua malinconia e alle sue canzoni.
Un grido continuo da apolide.
L'argomento è lungo, io continuo a seguirti, mentre la mia mente cerca di dimenticare le immagini brutte, sforzandosi a vedere il bello anche dove non c'è.
Grazie Sari. La tua fatina.
Godi del bello, quello vero, che c'è e tu lo sai.
EliminaUn abbraccio e grazie.
Grazie a te.
Elimina